La
chiamavano occhi di ghiaccio
C’era, sul fianco della collina che sovrastava il paese,
una villa isolata circondata da un parco ben curato. Ispiratrice inconsapevole
di sogni e pettegolezzi la villa se ne stava là, avvolta nell’aura riservata
alle cose misteriose e irraggiungibili.
Era sempre stata di proprietà di gran signori che non
amavano la confidenza con il popolo e, per la gente, ormai era una specie di
casa fatata, di luogo incantato, a dispetto di ogni precisazione o distinguo di
quelli che si dicevano amici o conoscenti dei proprietari.
Non importava.
Erano cambiati i tempi, ma per la gente “Villa Paradiso”
era la residenza privilegiata per pochi eletti.
Per questo, quando Laura era stata chiamata a prestare
servizio lassù, quasi quasi non ci aveva creduto e aveva chiesto spiegazioni
per ben tre volte, persuadendosi solo dopo aver sentito l’impiegato
dell’agenzia spazientirsi:
“Insomma, signora, è lei che si è proposta come donna
delle pulizie ed, eventualmente, baby-sitter. L’offerta è questa. Prendere o
lasciare.”
Aveva accettato.
Nelle sue condizioni aveva poche scelte.
Franco era in missione, l’ennesima, anche se era riuscita
a strappargli la promessa che sarebbe stata l’ultima.
“C’è il mutuo da pagare... no, no, non prendo rischi.
Solo per stavolta… e poi è una buona occasione per far del bene.” Ed era
partito.
Afganistan.
Prima c’era stato l’Irak e prima ancora il Kosovo.
Una vita a rischio, quella di Franco, con il sogno di
tranquillità da vivere con Laura costantemente rinviato per imprevisti che
sempre ne impedivano la realizzazione.
“Comincerò a lavorare anch’io. Deve finirla!” Si era
detta lei, stufa della perenne attesa, del continuo timore sia di non sentire
squillare il telefono, sia di sentirlo troppo presto.
Per fortuna c’erano le lettere a tenerle compagnia nei
momenti bui.
“Ci si abitua a tutto, tranne che all’ansia.” Diceva
spesso Laura. Per questo l’idea di lavorare, magari sfruttando la sua laurea in
lettere, le era parsa buona e l’aveva portata ad avventurarsi su per la strada
privata che portava al cancello di Villa Paradiso.
Subito dopo averlo varcato si era resa conto che, per una
strana legge del contrappasso, là le cose erano assai differenti da ciò che
l’immaginario popolare avrebbe voluto. Degli abitanti della casa per primo
aveva conosciuto Ramirez, il cuoco, un
sudamericano che, a volte, aveva visto aggirarsi per il paese e che tutto le
ispirava fuorché fiducia. Non era andata meglio con la governante che l’aveva
guidata con modi piuttosto bruschi dalla “signora”, la padrona di casa. A dire
di lei molto più di ogni presentazione era bastato il soprannome che la servitù
le aveva affibbiato “Occhi di ghiaccio”.
Laura si stava chiedendo quale necessità avesse quella
donna di un’altra dipendente, ma Anna,
“la signora”, la prevenne:
“Abbiamo richiesto la sua presenza perché Francesca, la
nostra governante, ha deciso di lasciarci. Va da sé che il suo posto presto
sarà vacante.” Spiegò. Uno sguardo alla faccia di Francesca fu sufficiente per
intuire quali fossero le sue motivazioni.
Lì per lì Laura fu tentata di lasciare. Quell’ambiente
non le piaceva: troppo snob la signora, troppo taciturni i dipendenti.
Poi, di colpo, decise di restare. Per sfida, forse. Per caparbietà,
di sicuro.
Se fosse stata possibile un’analisi profonda del suo
comportamento ne sarebbe emerso che quel suo voler restare a tutti i costi in
quel luogo era il suo modo per essere vicina al suo Franco. Quella era la sua
maniera di mettersi alla prova, di vincere la sua personale battaglia contro i
sensi di colpa per aver permesso al marito di andare in missione ancora una
volta.
Le bastarono due giorni per capire che là, nella casa
sulla collina, c’era davvero un piccolo Afganistan.
“Occhi di ghiaccio” pretendeva da tutti l’impossibile,
marito compreso e, a fronte dell’apparente serenità, quel luogo nascondeva
rivalità inconfessabili e conflitti mai risolti.
Per questo la lettera di Franco costituì un piacevole
diversivo.
Era la prima volta che le succedeva di rientrare stanca a
casa sperando in un messaggio.
Avevano conservato l’abitudine a scriversi perché le
telefonate con i satellitari erano sempre frettolose e spesso interrotte per
motivi tecnici
“Il bello delle lettere è che si possono scrivere piano
piano e leggere “a bocconcini” come i dolci più buoni.” Le aveva scritto una
volta Franco dalla Bosnia, lasciando trasparire una serenità e una pace da
notte di luna piena in riva al lago. E il fatto che quella lettera fosse stata
scritta nella penombra di una postazione avanzata sotto un bombardamento era
rimasto un segreto gelosamente custodito.
La nuova missiva non sfuggì al destino di tutte quelle
che l’avevano preceduta e fu letta poco a poco.
A brani piccoli Laura ne imparò a memoria il contenuto
tanto da saperlo ripetere anche in seguito ad ogni rievocazione degli
avvenimenti di quello e dei giorni seguenti.
“Cara Laura,
il tramonto qui è sempre
un avvenimento. Montagne, neve e, giù a valle, il deserto. C’è un fascino
selvaggio e misterioso in questo luogo inospitale eppure attraente.
C’è vento qui. È il
vento del deserto che la gente vuole custode di molti segreti. I bambini lo
conoscono e lo aspettano perché il vento, dispettoso, può essere un buon
compagno di giochi. Ci sono molti bambini qui, ma di loro ti parlerò dopo...”
Anche nella casa sulla collina c’era, doveva esserci un
bambino. Laura lo aveva intuito da piccole tracce fugaci che Anna faceva
scomparire in fretta. Lo aveva immaginato al momento dell’assunzione,
considerando ciò che aveva scritto sul curriculum, ma poi aveva pensato di
doversi ricredere.
“Oggi si occuperà del guardaroba.”
“Per domani saranno da riordinare le stanze a piano
terra.” Erano alcuni degli ordini secchi di Anna, sempre impettita e preoccupata
di non dare troppa confidenza alla nuova arrivata.
“Sapessi Franco, anch’io ho il mio generale.” Si era
scoperta a dire Laura continuando la lettura della sua lettera.
“... i bambini qui
non hanno niente e, se possibile, qualche volta hanno anche meno” continuava
lui. “Qualcuno ogni tanto salta su una mina. I più fortunati volano via subito,
rubati dal vento del deserto. Per gli altri il destino è terribile. Noi
facciamo quel che possiamo, ma non è semplice.”
Quella frase le diede l’idea.
Forse parlando apertamente di bambini Anna si sarebbe
sciolta. Il giorno seguente mise in atto il suo piano. Un fugace cambiamento di
espressione della sua interlocutrice le disse che, forse, aveva colto nel
segno. Se fosse stata più vicina, Laura avrebbe potuto vedere che lo sguardo di
Anna si era velato, ma il suo repentino voltarsi da un’altra parte aveva
nascosto ogni cosa.
Poi, di colpo, “Occhi di ghiaccio” parlò da madre:
“Anche da noi c’è vento e anche qui ci sono bambini con
un destino terribile.”
Servirono molta pazienza e almeno tre, quattro giorni di
domande caute, mezzi discorsi e rapidi dietro-front per capire la situazione.
Davvero là c’era un bambino a suo tempo voluto, in
seguito difeso, protetto, vezzeggiato, ma quel bambino aveva un problema che né
Anna, né Alberto, suo marito, erano riusciti a risolvere.
Alberto, alla fine, aveva gettato la spugna e si era
concentrato sul lavoro e Anna, impotente e chiusa nel suo dolore era diventata
“Occhi di ghiaccio”. E a Villa Paradiso era cominciato l’inferno, un inferno
strano, in apparenza discreto, ma enorme, infinito e di continuo rimosso in
ogni occasione pubblica nella quale Alberto ad Anna continuavano ad essere
ammirati e invidiati.
“Leonardo è un bambino eccezionale.” Oppure: “Sta già
prendendo le prime lezioni di musica.” diceva Anna, mentendo, ad amici e
conoscenti che annuivano ammirati.
Invece...
A casa sua Laura continuava a parlare da sola e la
lettera di Franco era sempre là, sul tavolo della cucina ad attenderla:
“Credo ti faccia
piacere sapere che sono riuscito a combinare un trasferimento per Yusuf, uno
dei nostri bambini. È talassemico. In Italia si può curare, forse potrà fare un
trapianto di midollo, anzi, ne sono quasi certo. Per sveltire il tutto ho dato
la disponibilità ad alloggiare lui e sua madre a casa nostra, per il tempo
necessario ai primi accertamenti. Arriveranno circa il venti del mese prossimo.
Spero di non crearti troppo disagio, ma forse un po’ di “movimento” ti farà
piacere...”
Laura rilesse quel passo tre volte. Per il suo desiderio
di far durare la lettera il più a lungo possibile, non l’aveva letto subito.
Era già il diciotto. L’aereo sarebbe arrivato meno di quarantotto ore dopo.
Franco non sapeva di Villa Paradiso, doveva essere una sorpresa: una rata di
meno del mutuo è sempre una bella sorpresa e ora bisognava rinunciare.
Senz’altro Franco aveva già fornito tutti i dati al comando per far arrivare
quel bambino e, dal comando, di certo si sarebbero fatti vivi. C’era poco
tempo.
Per questo Laura non si spaventò quando sentì il
telefono: “Ministero della difesa.” disse una voce.
“Sì, so tutto. Cosa devo fare?” Rispose Laura.
“Come? Come fa a sapere?”
“Franco mi ha scritto...”
“Ah sì… purtroppo signora, non è di quello che le
dobbiamo parlare. Questa è l’unità di crisi. Suo marito e alcuni altri suoi
commilitoni sono caduti in un’imboscata. Pensiamo sia stato rapito, ma non
abbiamo dati precisi.”
Laura dovette sedersi. Il tavolo, le sedie, le finestre
della stanza, tutto si annebbiò e cominciò a girare.
“Signora, signora!” Urlava la voce al telefono: “Abbiamo
avviato tutte le procedure...”
Poi, di colpo, come le capitava spesso nelle situazioni
difficli, Laura si riscosse e prese la sua decisione:
“Quel bambino deve arrivare entro quarantotto ore! Qui
doveva arrivare e qui lo dovete far venire!”
“Signora, non mi pare il caso...” Suggerì la voce.
“Invece sì. Fatelo venire qui e ditelo ai giornali, ai
telegiornali, spiegatelo in arabo perché sappiano cosa fanno i nostri laggiù.”
Tanto fece che Yusuf e sua madre, nel bel mezzo di una
crisi internazionale, furono portati a casa sua eludendo l’assedio dei
giornalisti.
Di Villa Paradiso si dimenticò. Fu Anna a suonare alla
sua porta in jeans e maglietta.
“Oddio... mi sono dimenticata...” Si giustificò Laura.
“Non ti preoccupare: sono venuta a darti una mano.”
Rispose Anna. C’era una luce nuova nel suo sguardo. “Sono venuta perché devo
capire come fai a...”
“È semplice: Franco ha organizzato questa cosa. È un suo
progetto, perciò è anche mio. Una difficoltà non lo deve fermare.”
Fra lo stupore degli psicologi dell’esercito in quei
giorni a casa di Laura si stabilì una strana solidarietà fra tre donne con tre
problemi differenti e difficili.
A dispetto della lingua si capirono e il piccolo Yusuf fu
portato dagli specialisti per le sue cure.
La lettera di Franco rimase sul tavolo della cucina fino
a quando Anna non ne vide il secondo foglio, quello che nessuno aveva ancora
avuto il tempo di leggere.
Proprio quel foglio la guidò nella conferenza stampa per
l’appello ai rapitori. Anna aveva accettato di distrarre in quel modo i
giornalisti dalla casa di Laura portandoli a Villa Paradiso al fine di
permettere a Yusuf di raggiungere in fretta l’ospedale dove c’era la concreta
possibilità di fargli il trapianto di midollo.
Iniziò piano a parlare, Anna. Un operatore strinse il
primo piano sui suoi occhi, quelli di ghiaccio, ma subito dovette allargare
l’inquadratura. Da qualche parte un bambino era uscito ed era andato a
sistemarsi in braccio ad Anna che lo strinse a sé e continuando a parlare:
“Non farò appelli in senso stretto, ma mi limiterò a
leggervi quello che Franco, il mio amico, il nostro amico Franco ha scritto a
motivazione della sua azione.” E Anna vincendo la riluttanza a violare la
privacy di Laura lesse:
“... sai, tesoro, c’è un gran silenzio qui. La notte siamo
sospesi fra terra e cielo. Le stelle paiono più vicine e il vento si quieta per
cedere il passo a una brezza leggera. Sono momenti fugaci eppure significativi.
So che Dio è nella
brezza leggera e che qui la sua mano si è fermata un po’ di più a fare queste
montagne che la notte rende indistinte seppure presenti.
Siamo operatori di
pace travestiti da portatori di guerra, ma il nostro è un compito importante.
Se Yusuf
riuscirà a guarire si potrà provare a consolidare la collaborazione...
chissà... servirà tempo, o solo un attimo, chi lo sa? Qui pare che nulla possa
cambiare per l’eternità e, contemporaneamente, tutto possa trasformarsi nel
volgere di un secondo...
Siamo qui per
un’idea in apparenza insignificante. L’idea che ci guida è come il vento che
soffia sul deserto: può andare lontano, può abbattere gli alberi, far giocare i
bambini o solo far suonare le canne, ma nessuno lo può incatenare. Siamo al
servizio del vento delle idee e come il vento dobbiamo portare dei piccoli semi
per far nascere le foreste. La salute di Yusuf deve essere il nostro piccolo
seme. Questo è lo spirito che guida gli operatori di pace.”
Sia il vento leggero a toccare il cuore dei rapitori di
Franco e dei suoi compagni. Yusuf, che più o meno ha l’età del mio Leonardo che
tutti vedete, è già qui e stamattina ha cominciato le cure per la sua malattia.
Prego chi di dovere di avvisare che non abbiamo intenzione di rinunciare a
offrire a uno, dieci, cento Yusuf la possibilità di vivere sani sulle loro
montagne o ovunque.”
L’appello ai rapitori si concluse di colpo e fu proprio
Leonardo per primo a battere le mani. Timidi anche i giornalisti fecero il loro
applauso. L’operatore fu l’unico a notare il particolare più importante: Anna,
Occhi di ghiaccio, stava piangendo. E l’immagine andò nell’etere.
Quello sguardo fu visto da Ramirez e Francesca per i
quali cominciarono i dubbi su un giudizio affrettato. Alberto ritrovò gli occhi
che l’avevano fatto innamorare. I concittadini si guardarono l’un l’altro senza
riuscire a commentare.
E l’appello risuonò.
Dai minareti i muezzin urlarono la loro nenia ed
esortarono.
E il vento del deserto soffiò forte per spegnere i fuochi
dell’odio.
Servirono dei giorni.
Yusuf entrò in camera sterile. Anna finalmente, ebbe il
coraggio di confidare a Laura che Leonardo aveva fatto quel giorno un gran
passo avanti: per un bambino autistico comportarsi così era un miglioramento
importante. C’era ancora speranza.
Quando dall’unità di crisi telefonarono per avvisare che
il rapimento si era concluso Laura stava finalmente leggendo l’ultimo brano
della lettera di Franco:
“Non posso
concludere senza ricordarti ciò che lessi tanti anni fa:
se il seme non ha
il coraggio di scendere nella terra non dà frutto;
se l’aquila non ha
il coraggio di spiccare il primo balzo fuori dal nido non potrà mai volare in
alto;
se l’uomo non ha il
coraggio di alzare gli occhi dalla terra al cielo non potrà mai crescere;
se non hai il coraggio
di amare non potrai mai essere.
Io spero di essere.
Ti amo, Laura.
L’ho appena urlato
nel vento della notte per fartelo sentire.”
Il resto è la cronaca di un rientro, della fine di una
brutta avventura, tranne, forse un particolare: il piccolo Yusuf è ancora a
Villa Paradiso in convalescenza dove ha trovato un amico in Leonardo.
Stranamente quei due si sono capiti subito con grave danno per l’ordine che
Anna aveva voluto.
Yusuf parla arabo, Leonardo non parla italiano. Entrambi
ridono nella stessa lingua, combinano guai all’unisono e, senza saperlo, si
stanno aiutando.
Da qualche parte c’è un imam che si chiede dove sia
scritto che Dio sta nel vento leggero.
Non lo aveva mai sentito dire prima.
Gli occhi di Anna mentre leggeva quelle frasi gli hanno detto
che deve essere vero.
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