Libera
scelta
Comincia a nevicare.
Adoro guardare i fiocchi cadere sulle cose.
Osservo la città da questa finestra dell’undicesimo
piano, le persone in strada sembrano piccole formiche indaffarate, si muovono
in modo strano sotto la neve, quasi indispettite.
Io invece, vorrei essere per strada e fare come mia
abitudine in questa stagione, alzare la testa al cielo e farmi poggiare la neve
sul viso, sentirla sciogliersi al contatto caldo e assaporare il suo non
sapore.
La mia stanza è al buio ma, se solo aprissi la porta che
dà sul corridoio, entrerebbe la luce fredda dei neon della corsia, sentirei le
voci delle infermiere di turno e quell’odore che hanno tutti gli ospedali: un
misto di pulito e disinfettante.
Preferisco stare al buio e guardare la neve posarsi sulla
città.
Ero scappata da lei qualche anno fa’ e per pura ironia i
miei genitori hanno deciso di farmi curare proprio qui.
Qui c’è il “Dottore” che conosce i misteri che si celano
dietro il mio disturbo alimentare.
Qui nessuno chiama le cose con il nome che hanno,
probabilmente anch’io ho già cambiato nome.
Meglio guardare la neve.
Adesso le strade sono rivestite da una sottile patina
bianca e i lampioni riflettono la loro luce amplificando l’effetto Inverno.
Tra pochi giorni sarà il mio compleanno, mi dicono che
sono pochi i miei anni.
Già!
Sono sempre troppo giovane: giovane per l’amore, giovane
per il lavoro, giovane per capire, troppo giovane per morire.
A questo mi dicono vado incontro se non smetto di
vomitare. Lo so!
Sono giovane ma non stupida.
Il grande Dottore, che dovrebbe curarmi, è un pomposo
signore di mezza età, che probabilmente non conosce nulla del mondo che vivo,
si muove per l’ospedale come fosse il padrone e tratta come caccole le
infermiere.
Il grande dottore che mi dà dei farmaci per curare
l’anoressia. Io i farmaci non li prendo … la maggior parte finisce nel water.
Sono sedativi, antidepressivi, schifezze simili che non
farebbero che rincoglionirmi e poi mi fa la paternale ogni volta che viene in
stanza.
Se fossi sua figlia, mi ucciderei più velocemente di come
sto facendo.
E poi c’è la psicologa.
Donna!
La tattica è comprensibile, chi meglio di una donna può
entrare nella mente di un’altra donna?
Stronzate!
Si siede nella sedia vicino al mio letto, mi chiede se ho
mangiato e poi comincia a spararmi domande alle quali io, sinceramente,
rispondo sempre con bugie.
E’ già la quarta che vedo e sembra che abbiano
frequentato tutte la stessa facoltà: stesse domande
senza senso, stessa posa quando si siedono, stessi
vestiti di fattura pessima e poi la voce … Studiata, calcolata, perfetta.
Insopportabile!
Oggi ha perso la pazienza con me, dopo la mia ennesima
bugia come risposta, si è alzata indispettita e mi ha detto che non poteva
continuare a farsi prendere in giro così.
In quel momento l’ho amata!
Ormai ci sono più di cinque centimetri di neve e le
macchine camminano piano per non sbandare.
Domani sarà una giornata di visita per i miei, sempre che
riescano a mettersi d’accordo sugli orari.
“… sai tra il lavoro, gli appuntamenti le serate al
club"...
Troppo impegnati!
Allora statevene in casa!
Non ho bisogno di voi, sono anni ormai che non vi chiedo
più nulla e se non fosse stato per quell’impicciona della mia vicina di casa,
probabilmente, vi avrei rivisto al mio funerale.
Invece è andato tutto storto e adesso sono inchiodata qui
in quest’ospedale, in questa città che non amo.
Sono le tre del mattino ed è appena arrivata
un’ambulanza, probabilmente ci sarà un altro ospite qui a breve, sento le
infermiere in corridoio agitarsi.
Entrano nella mia stanza e preparano il letto accanto al
mio, almeno stanotte accadrà qualcosa di diverso.
Arrivano con la lettiga, sopra c’è una ragazza che avrà
circa la mia età, e dai discorsi che sento, anche lei avrà avuto una vicina
troppo zelante.
Ha due flebo attaccate alle braccia sottili … molto più
delle mie.
I capelli neri e lunghi gli coprono il volto, è pallida e
non dà segni di vita, ma respira, altrimenti non sarebbe qui, ma qualche piano
più sotto, a temperature più basse.
Gli attaccano il monitor per le pulsazioni, il suo cuore
da tenere sotto controllo.
Il mio aveva lo stesso suono quando sono arrivata.
Resto a guardarla per un po’ e mi viene da chiedermi
quale potrebbe essere la sua storia.
Mi addormento e quando mi sveglio lei, è girata verso di
me e mi guarda con gli occhi di chi, per la prima volta, si vede riflessa allo
specchio.
Mi chiamo Giorgia le dico e lei “Simona”, mi sorride.
La sua prima domanda è: Quanto pesi?
Trentasei chili le rispondo e tu?
Trentatré e quattrocento.
Sorride ancora, ma c’è dell’amaro che esce.
Arriva la psicologa, per fortuna non è per me, mi giro
dall’altra parte e faccio finta di nulla.
Conosco le domande e so già che anche Simona non darà le
risposte che lei vorrebbe.
Così è!
Quando lei va via, prendo su il mio campionario di flebo
e mi siedo sul bordo del suo letto, mi racconta la sua storia.
Ventiquattro anni, famiglia benestante, divorzio dei
suoi, nuova famiglia per il padre, nuovo compagno per la madre … sola!
OPS … stesso copione!
Ha cominciato così solo per farsi notare e la cosa gli è
sfuggita di mano, poi la mano ha trovato la bocca e le dita han trovato la
gola.
Vomita anche l’acqua ormai, questo è il suo terzo
ricovero quest’anno.
Risultato?
Non le importa più, non c’è gioia per lei qui, me lo dice
consapevolmente rassegnata, non gli interessa di vivere o morire.
“La morte, dice, non può essere peggiore di questa merda
di vita!”.
I miei arrivano insieme, probabilmente i loro orari per
una volta hanno coinciso.
Per lo meno stavolta hanno avuto la delicatezza di venire
da soli, senza compagni al seguito.
Non sopporto i loro volti preoccupati, non sopporto più
neppure le loro voci.
Li lascio parlare, rispondo a monosillabi, più per
educazione che altro, guardo Simona che ridacchia in silenzio.
Mi hanno portato dei cioccolatini. Che carini! Mi sale la
nausea. Per fortuna decidono di non stancarmi e dopo tredici minuti e
quarantacinque secondi sono già fuori dalla stanza.
La neve si è sciolta, è bastato un po’ di sole a rovinare
l’effetto inverno. Che peccato!
Il monitor di Simona fa dei suoni strani, mi avvicino ha
le convulsioni.
I medici arrivano subito e mettono un separé, non vedo
cosa succede, ma sento il suo cuore.
No!
Non lo sento più!
Trentaquattro minuti. Questo è il tempo in cui i medici
hanno tentato di rianimarla.
Simona non c’è più.
Guardo il letto, il lenzuolo tirato sul viso e il suo
corpo occupa uno spazio minuscolo.
Sarà così anche per me.
Ci sono ferite che il tempo non rimargina, ci sono parole
che non si riescono a dimenticare, ma c’è un mondo là fuori, anche senza neve,
che mi sta urlando di andare, di cercare, di scoprire, di amare.
Guardo i cioccolatini … almeno in questo ci hanno
azzeccato!
Ne prendo uno e lo metto in bocca, mi sembra di non aver
mai mangiato nulla di più buono in tutta la mia vita …. Simona … io voglio
vivere!
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